Giudico la bontà di un libro anche (soprattutto, forse) dal numero di volte in cui mi tocca rileggere un paragrafo per capire di cosa si stia parlando. Sopporto poco l’aggettivazione forzata, la complessità dei temi trattati, i periodi lunghi, le pause descrittive. Detesto dovermi concentrare, questa è la verità. Preferisco essere trascinato, percepire l’affanno, la smania, l’insonnia di chi ha scritto. Gli artifici mi indispettiscono, i messaggi subliminali a lungo rincorsi spengono, invece di accrescere, la mia curiosità. Quello che la critica considera uno dei romanzi migliori del XXI secolo, è per me un libro troppo basato sulla forma (accurata nei minimi dettagli) e poco sulla sostanza. Bello, bellissimo, per chi ha tempo e voglia di fermarsi ad ascoltare.