Del vecchio Buk ho letto quasi tutta la prosa disponibile. Ormai sono ridotto alle raccolte messe insieme alla rinfusa al fine di cavalcare l’onda di un successo postumo e duraturo. Il titolo italiano a dir poco deplorevole (in origine: “The mathematics of the breath and the way”) è utile soltanto per attrarre nuove flotte di adepti, invogliandoli a seguire la massa di fedeli già abbagliati dalla scrittura sconcia e corrosiva del loro vate. Non è un mio problema, per fortuna. Bukowski ha rappresentato nell’ultimo decennio molto più di un compagno di sbronze o qualcuno con cui parlare di donne, sesso, noia e poesia. Non me la sento nemmeno di consigliarne la lettura. Significa troppo, per me, e spesso la passione cieca, se condivisa anche con le persone più vicine, risulta incompresa. Non riuscirò mai a spiegare le sensazioni che provo nell’ascoltare “Thunder road” in un giorno di sole, con la strada deserta davanti, il finestrino abbassato, il cuore che esplode e la voglia di ridere e urlare. Non si può. Non si deve neanche. Certe cose vanno vissute, sentite dentro. Non servono parole. Ed è giusto che ognuno segua la propria strada e s’imbatta nei propri eroi. Con Bukowski, è la stessa identica cosa. Ciò detto, questo “Taccuino…” non è nulla di speciale. Raccoglie una manciata di racconti, alcune (troppe) recensioni a raccolte poetiche di altri autori e quattro o cinque interviste a ruota libera. Non lo nego: continuerò a cercare e comprare libri come questo, sebbene siano operazioni meramente commerciali o poco più. Lo farò per un senso profondo di riconoscenza e per ricordare a me stesso la fortuna d’aver trovato qualcuno che scrive nel modo in cui vorrei scrivere io, che parla di argomenti che mi appartengono, che azzera la distanza tra le sue parole e il mio ascolto, che sin dal giorno in cui ci siamo presentati arricchisce la mia vita in un modo difficile da intendere. Persino per me, figuriamoci per chiunque non sia me. Grazie Buk, dunque. Ancora una volta.